bel racconto autobiografico di mario rigoni stern che descrive prima la vita di trincea sul fronte del don e poi la drammatica ritirata delle truppe italiane e tedesche per uscire dalla “sacca” in cui li avevano accerchiate le truppe russe – impressionante la descrizione delle varie volte in cui l’autore si stava lasciando morire nel freddo, ogni volta salvato da qualche amico commilitone
racconto duro ipnotico delle incredibili difficoltà affrontate dai soldati italiani prima nelle trincee e poi lungo le strade innevate – il libro mi ha lasciato una forte impressione, per giorni mi è sembrato di avere freddo e di non riuscire a scaldarmi
il racconto della guerra è asciutto, descrittivo, senza giudizi, quasi una cronaca giornalistica in prima persona – anche le uccisioni e le morti sono parte del paesaggio
molti i personaggi che l’autore descrive, per alcuni raccontando anche la loro sorte – un libro da leggere per capire l’assurdità della guerra
riporto qui la descrizione di un piccolo episodio, l’unico soffio di speranza del libro, quando l’autore entra in una isba per mangiare e si accorge all’ultimo che ci sono dentro soldati russi che stanno anche loro mangiando:
” Una prende un piatto, lo riempie di latte e miglio, con un mestolo, dalla zuppiera di tutti, e me lo porge. Io faccio un passo avanti, mi metto il fucile in spalla e mangio. Il tempo non esiste più. I soldati russi mi guardano. Le donne mi guardano. I bambini mi guardano. Nessuno fiata. C’è solo il rumore del mio cucchiaio nel piatto. E d’ogni mia boccata. – Spaziba, – dico quando ho finito. E la donna prende dalle mie mani il piatto vuoto. – Pasausta, – mi risponde con semplicità. I soldati russi mi guardano uscire senza che si siano mossi”
“Così è successo questo fatto. Ora non lo trovo affatto strano, a pensarvi, ma naturale di quella naturalezza che una volta dev’esserci stata tra gli uomini. Dopo la prima sorpresa tutti i miei gesti furono naturali, non sentivo nessun timore, né alcun desiderio di difendermi o di offendere. Era una cosa molto semplice. Anche i russi erano come me, lo sentivo. In quell’isba si era creata tra me e i soldati russi, e le donne e i bambini un’armonia che non era un armistizio. Era qualcosa di molto più del rispetto che gli animali della foresta hanno l’uno per l’altro. Una volta tanto le circostanze avevano portato degli uomini a saper restare uomini. Chissà dove saranno ora quei soldati, quelle donne, quei bambini. Io spero che la guerra li abbia risparmiati tutti. Finché saremo vivi ci ricorderemo, tutti quanti eravamo, come ci siamo comportati.”